Il format prodotto dai canali ufficiali della SSCNapoli, noto come Drive&Talk, ha come protagonista questa volta Giovanni Simeone mentre si dirige in auto al Konami Training Center di Castel Volturno.
di Gabriele Caruso
«Solitamente mi sveglio alle 8.30 anche se l’allenamento è alle 11. Dobbiamo trovarci a Castel Volturno alle 10, ma arrivo lì verso le 9.30. Mi piace fare colazione lì, parto da casa verso le 9. Mi piace vedere un po’ i miei compagni come stanno e portare un po’ di allegria nello spogliatoio, mi piace essere uno dei primi ad arrivare».
Dopo, spiega il rito del mate, una pianta originaria del Sudamerica: «All’inizio, come tutto, quando se piccolo e te lo fanno assaggiare, non ti piace perché amaro. E’ una bevanda molto diffusa nel Sud America; è tipico dell’Uruguay, lì si beve molto di più. Tante persone ci mettono la menta, lo zucchero, ognuno lo fa come si sente e gli piace. E’ un modo per stare insieme con la famiglia e gli amici, diciamo che è un momento di condivisione. E’ un po’ per voi quando dite ‘Andiamoci a prendere un caffè».
Alla domanda sui suoi hobby e se fosse un nerd, il Cholito risponde: «Il nerd è una persona curiosa, io sono molto curioso, mi piace un po’ tutto. A differenza di mio padre che rimane in silenzio se a tavola non si parla di calcio, con me invece si può parlare di tutto tipo cinema, videogiochi con i bambini. L’altro giorno c’era il figlio di Mario Rui che stava giocando al Game Boy e gli ho insegnato un paio di trucchi ad un gioco; è rimasto molto contento. Mi piace parlare di tutto, dei Pokemon, di One Piece. Mi piace tantissimo il mare, sto studiando per prendere la patente nautica».
Poi, Simeone passa a parlare del suo interesse verso il mondo orientale: «Quest’anno vorrei andare in Giappone, mi piace fare meditazione e sapere le culture degli altri paesi. Due anni fa sono stato in India, ho visto l’induismo pur non avendolo studiato mi sono interessato tantissimo. Ho visto i musei e tantissimi templi. So tutto sull’induismo, ci sono tre dei importantissimi. Se mi piace quello che vedo, mi interesso ed approfondisco. Sono molto interessato sulle energie, sulle meditazioni, su tutte le cose spirituali. La mia libreria è piena di queste cose».
Ma Simeone, è soprattutto uno studioso del calcio: «Ho un app dove ci sono tutti i dati e le statistiche del calcio, in settimana mi metto a guardare la squadra avversaria che affrontiamo. Quando guardo mi viene in mente uno spazio che c’è oppure una giocata da fare e me lo segno. Prima della gara, sul mio taccuino mi segno tutte le cose che ho avuto in mente nella settimana. Mi piace essere un piccolo allenatore di me stesso. Per esempio un attaccante deve studiare molto bene il portiere, ci sono pochi attaccanti che lo fanno. Devi sapere le sue posizioni e come si prepara al tiro. Non tutti si comportano alla stessa maniera, ci sono portieri che restano fermi oppure fanno un salto o mettono le braccia dietro. Lo scorso anno in Napoli-Roma, quando faccio gol, quel gesto me l’ero segnato. Avevo detto: “se devo tirare da lontano è meglio tirare basso, se sono vicino all’area devo tirare alto”. L’ho pensato e mi è riuscito, sembra una cosa stupida ma mi ha aiutato tantissimo».
Choilito che fa poi autocritica riconoscendo i suoi limiti da calciatore: «La mia curiosità è sempre stata grande. Da piccolo non immaginavo mai di essere in un posto come Napoli e vincere lo scudetto, non avevo la qualità che forse oggi ho acquisito negli anni. Ho sempre voluto di più, questa curiosità facendo anche autocritica, mi ha spinto oltre. Riconosco i miei limiti, vado avanti in base a quello che ho. So che qualitativamente i miei compagni sono più forti, però la testa vale di più. Se vedo qualcuno che si abbatte, vedo che è il mio momento e devo colpire. E’ una cosa più mentale».
Poi passa a parlare del rapporto con suo padre Diego: «Da piccolo papà mi diceva di guardare sempre la palla mentre calciavo e non la porta che è sempre lì e non si muove. A forza di allenarti e giocare sempre sai alla fine dove sta la porta quando tiri».
Poi è soffermato su una sua vecchia passione, quella di scrivere: «A Firenze, 5 anni fa, scrivevo su di me, una sorta di diario dove scaricavo le mie emozioni e i miei momenti belli e brutti. Con Giulia ho chiuso il capitolo, ho finito di scrivere quando mi sono sposato. E’ bello perché ho scritto tutti i miei momenti di quando ero ragazzo ed ero solo e non stavo bene. Quando ho trovato la persona giusta ho capito che stavo bene e non scritto più. Ogni tanto vado a rileggere quel diario, un giorno da grande andrò a rileggere tutto quello che ho scritto».
Dopo passa a parlare dei riti pregara: «Prima di ogni gara ho i miei riti. Mi guardo dei video motivazionali di Rocky Balboa. C’è un suo monologo nel quinto film quando dice al figlio che la vita è dura, devi resistere ai colpi e andare sempre avanti, lo guardo spesso».
Cholito che in passato era molto scaramantico: «All’inizio ero fissato con la scaramanzia, poi ho capito che quando meno sei attaccato a quello meglio puoi vivere. A 20 anni ero solito fare dei palleggi prima di una gara e, se non raggiungevo un certo numero, era un segnale che non stavo bene. Lo psicologo mi fece capire che era impossibile che sbagliando un palleggio significasse non giocare bene in gara oppure non segnare. A volte la testa si blocca su queste cose. Quel palleggio sbagliato mi bloccava ed era una cosa sbagliata. Lo scorso anno ci stavamo giocando lo scudetto, quindi qualcosina ho fatto tipo le mutande da Champions solo per quelle, le stesse scarpe. Mi ricordo che mia nonna che quando ti fa male la testa fa delle preghiere e sparisce, anche mia madre fa un po’ queste cose. Prima di Real Madrid-Napoli di Champions League chiamo mia mamma dicendogli che ero un po’ agitato per la gara. Mia mamma mi disse di mettermi a pregare che andrà tutto bene. Quando mi tolgo la felpa si rompe il corno rosso, era quasi un segnale. Lei mi ha detto che quello mi aveva protetto fino a quel momento ed ero pronto, quel giorno ho fatto gol. Incredibile».
Simeone che spiega anche la sua passione per l’Escape room: «Amo l’Escape room ed i giochi di società, in squadra gioco sempre con Alex Meret. L’Escape room mi piacciono perché mi sento come se dovessi uscire davvero da quella sala. Ho bisogno che la mia mente sia sempre in movimento».
Infine spiega cosa significa essere figlio d’arte: «Essere figlio d’arte, non sono nel calcio, è dura. Anche a scuola non avevo molti amici perché tutti volevano essere mio amico per interesse e perché papà era famoso e dicevano che avevo soldi. Per fortuna ho saputo riconoscere chi era davvero mio amico e senza interesse. Un giorno mia madre mi vide molto triste in Argentina, era un sabato pomeriggio di di sole ma me ne stavo rinchiuso in casa. Mi invitò ad uscire e fare amicizia con qualcuno. Non è facile essere figlio di una persona importante, perché ti guardano sempre in modo diverso. Hai i tuoi vantaggi, ma è dura».
Last modified: Maggio 1, 2024